il football americano, la passione e la scintilla che ha acceso Sportvibes
“Se sei un ragazzo e qualcosa ti interessa, buttati. Non pensare ‘non sono capace’. Prova. Se non fa per te, lo capirai. Ma prova, potresti trovare la tua strada.
Ai genitori dico: lasciateli liberi. Non siete voi da piccoli. Date loro strumenti, non pressioni”

C’è sempre un inizio, una storia che accende le altre, quel tipo di storia che non ha bisogno di effetti speciali. Basta sedersi, ascoltare e lasciarsi attraversare dalla verità delle parole. Per Sportvibes, quella scintilla, quella storia ha il volto e la voce di Gigi “Pitbull” Bottalico, classe ’86, giocatore e allenatore di football americano a Bari, ma soprattutto persona che ha saputo ispirare. Una vita divisa tra campo, dojo e lavoro, tra il sudore della fatica e l’onore delle piccole grandi vittorie che non fanno notizia. Ma che fanno le persone.
Quando ho lanciato il progetto A Bari nessuno è straniero, Gigi è stato il primo a scrivermi. Non un messaggio qualunque, ma un’apertura vera, curiosa, accogliente. Da lì è nato tutto. Anche questa rubrica, “A Bari nessuno sta zitto”, che in questa versione maxi lo vede protagonista.
Quel pallone blu, a sei anni
Per chi pratica sport alternativi al calcio, spesso la scintilla è strana, inaspettata.
Nel caso di Gigi, tutto comincia da un pallone. “Avevo sei anni, eravamo da Pistolato, vicino al cimitero. C’era questa rastrelliera piena di palloni: basket, calcio… e poi uno solo diverso da tutti. Blu, con le cuciture rosse. Una bandiera americana dalla forma strana“.
“Ho detto: voglio quello!”

Un gesto istintivo, e forse già allora, il desiderio di essere “diverso dalla massa”.
Quel pallone lo ha portato, anni dopo, a scoprire davvero il football americano. All’inizio era tutto più difficile. “Solo film in tv e videogame, complicatissimi da trovare. Niente social, poca visibilità… io ho iniziato a 21 anni, per caso, grazie a un amico: Roberto Cipolla, che ringrazierò sempre. Mi accompagnava persino agli allenamenti.”
Football o rugby?
All’inizio confondeva il rugby col football. “Mischiavo le regole nella mia testa. Poi ho capito: il football è un gioco di scacchi, dove ogni azione è una battaglia. Il rugby è continuo, dinamico. Il football è collisione, strategia, impatto.”
Gigi lo spiega con passione. Ti fa entrare nel campo anche solo ascoltandolo. Parla di protezioni e placcaggi. Di quanto sia fondamentale allenare il corpo, prepararlo a collisioni contro corpi che vanno dai 60 ai 170 kg.
“Ma anche nel football c’è rispetto. Non colpisci per fare male. È competizione pura, sì, ma con dei valori solidi“

La prima volta, come in un film
“Me la ricordo perfettamente. Era contro Napoli. Prima partita vera. Feci solo tre azioni in campo… ma bastarono. Mai dimenticherò la carica del prepartita, i fumogeni, la voce del coach Danilo Maffei. Mi sembrava di stare in un film. Piansi, lo ammetto“
“Ma uno dei momenti più intensi resta il campionato vinto da allenatore-giocatore nella CSI Seven League 2022-2023. Non abbiamo perso neanche una partita. In finale perdevamo nel primo tempo, ma nel secondo siamo entrati con un reset mentale, ci siamo ricordati chi eravamo. Da lì loro non hanno più segnato e noi sì”.
Ma non è solo la vittoria a contare. Gigi ricorda anche una sconfitta, giocando con Barletta contro Roma, con soli 18 giocatori e un infortunio al petto: “Uscito con uno strappo al petto di 2 cm, ma orgoglioso. A volte le sconfitte ti formano di più, se hai l’umiltà di capirlo” ci dice. E lì capisci che non sta parlando solo di sport.
Dopo la gloria, il lunedì mattina
Gigi è uno di quegli sportivi “per hobby” che però vive la sua passione come una missione. “La mia frase nel prepartita è sempre ‘come ti vuoi svegliare domani mattina?’. Io voglio potermi dire: ho dato tutto“.

“Dopo la vittoria del campionato a Firenze mi sono chiesto ‘Ma io come sto?’. A lavoro, per strada, nessuno sa cosa ho fatto, ma io lo so. Ed è abbastanza. Siamo persone che il giorno dopo vanno a lavorare coi dolori, ma stiamo bene. E questo basta”
“Facciamo lo stesso sport di m***a che non si fila nessuno”
Una frase che dice tutto. Una risata amara, ma piena di verità.
“Che sia football o rugby, noi e gli avversari siamo nella stessa barca. Sport che meritano di più, ma che ancora oggi fanno fatica a emergere. Eppure sono pieni di valori: rispetto, sacrificio, comunità“.
“In partita siamo avversari, ma è anche grazie a loro che io posso giocare a football e la speranza è che da quel campo usciamo sempre sulle nostre gambe, tutti”
La consapevolezza di essere guida
Il cambio di prospettiva avviene per caso, quando giocava fuori Bari e torna a casa per vedere una partita dei Navy. Il presidente della squadra lo ritrova e gli propone una maglia e il ruolo di allenatore. “Gaetano Bitetto mi disse ‘ti do la difesa’. Lì ho capito che non dovevo solo far crescere giocatori, ma anche persone. A livello umano. Perché questi sport di nicchia ti insegnano il rispetto, la fratellanza, la resilienza”.
“Quando i ragazzi vengono a dirmi ‘coach ho problemi con la scuola’, capisci che sei diventato tu il mentore. E provo a essere per loro quello che non ho avuto io”
Con la stessa energia con cui spinge in campo, Gigi si prende cura della sua squadra anche fuori dal terreno di gioco. Perché un coach, per lui, è anche un mentore. Qualcuno che c’era quando serviva, o che diventa ciò che lui stesso avrebbe voluto avere da ragazzo. Una guida affidabile, presente, che costruisce prima le persone e poi gli atleti.
Da allenatore della difesa, l’obiettivo è trasmettere ai suoi ragazzi quella stessa energia. “Amo caricarli, motivarli… non con odio, ma con determinazione. In campo si lotta, ma prima e dopo ci si rispetta.”

Mirino e il numero 51
Nel mondo del football lo chiamano “Mirino”. Ma il soprannome nasce da un aneddoto tutt’altro che epico: “Primo allenamento, indossavo mutande con la bandiera italiana tipo bersaglio sul retro. Un compagno disse: ‘Ha già il mirino’. Da lì, mai più chiamato Gigi”.
E poi c’è il numero 51, tatuato e portato ovunque, ereditato quando ha cambiato ruolo, passando dall’attacco alla difesa.
“È identificativo. Così gli avversari sanno che sono io e devono iniziare ad aver paura”
Il samurai che c’è in lui
E poi, c’è la dualità che lo rende unico. Da una parte il football, dove devi essere carico, incazzato, pronto alla battaglia. Dall’altra, il Battojutsu della scuola tradizionale di Sekiguchi Ryu, arte marziale giapponese del 1600. Calma. Precisione. Meditazione. Gigi è anche questo: il guerriero che si prepara nel silenzio, l’uomo che sa essere fuoco e acqua, rabbia e controllo.

“Non è uno sport. È studio, meditazione, filosofia. È equilibrio. Il football è rabbia, l’arte marziale è calma. Sono due mondi opposti che mi tengono in equilibrio”
E la passione per la cultura giapponese è profonda: “Si studia tutto, dal modo di estrarre la spada a come la posizioni mentre dormi, nel caso qualcuno ti attacchi”.
Pitbull nell’anima
Il soprannome Pitbull invece nasce da un allenatore americano. Ma è più di un nickname, è uno specchio: “Il pitbull non è il più forte, non è il più cattivo, ha solo una cosa: il gameness, la voglia di stare al gioco e non mollare. Ecco, io mi rivedo in quello”.
“Non sono il più veloce, né il più grosso. Ma ci sono. E non mollo”
È la storia di chi, etichettato troppo in fretta, si è costruito con i valori veri.

Il football che salva, davvero
“Il football mi ha salvato la vita” dice Gigi con la sincerità che ti stende più di un placcaggio. “Mi ha tolto da un contesto sociale complicato. Se oggi ho un lavoro è grazie al football“.
“E mi fa male pensare che oggi un ragazzino magari non possa vivere quello che ho vissuto io. Ecco perché sento una responsabilità”
Una responsabilità che oggi si traduce in missione: creare una realtà sportiva inclusiva, accessibile, pulita, dove lo sport sia prima di tutto strumento di formazione umana. “Il mio sogno è creare una realtà dove anche chi non ha soldi possa allenarsi gratis. Perché lo sport è un diritto, scritto in Costituzione. Lo sport forma cittadini, non solo atleti”.
Gigi Bottalico è questo: un atleta, un allenatore, un lavoratore. Ma soprattutto, uno che ci crede. E che ha avuto il coraggio di scegliere un pallone blu, diverso da tutti. E di non mollarlo più.
Con lui, e grazie a lui, Sportvibes parte così: dalla voce di chi non ha mai smesso di parlare. Anche quando nessuno ascoltava.